
QUI DA NOI IL TEMPO NON C’È
HERE WITH US THERE IS NO TIME
INSTALLAZIONE
Padova
Giardino degli Eremitani
18 luglio – 19 ottobre 2025
Comune di Padova – Assessorato alla Cultura – Padova Musei Civici
L’aldilà forse è un uliveto, dove il vento arriva puntuale nel pomeriggio.
Un villaggio sospeso sulle cime di alberi senza rami e senza foglie.
Non sono tombe né nidi ma rifugi instabili di persone che sono passate e che desiderano ancora confidarsi con i vivi, lanciare in mare un messaggio in bottiglia, tentare di afferrare qualcosa che non si fa prendere.
In quell’Eden così sobrio e calmo, qualcuno è convinto di sentire parlare i morti.
Ascoltiamo voci sospirate, dolorose, gentili, dignitose, rassegnate o sconfitte che assomigliano a gesti quotidiani.
Brevi pensieri, monologhi di individui che vogliono incontrare ancora. Confidenze intime come quelle che si affiderebbero a un diario, o a una stanza d’analisi, che incastrano bisogni, chiedono riparazione, ci confortano e ci rassicurano, pur sapendo di non avere risposte, quasi una trama sonora per lenire le separazioni.
Un esercizio del bussare, del cercare.
Gli spettatori possono sedersi e ascoltare sotto ogni albero, memorie e intimità che ogni voce ci confessa su quello che ha compreso o finalmente capito, con la modestia e il distacco sofferto di chi ora è dall’altra parte e ritorna sugli eventi accaduti.
Il pubblico può seguire i passaggi tra una vita e l’altra creando un proprio percorso in una dimensione immateriale e in un illusorio e impensabile viaggio nell’aldilà.
“Con il tempo le cose scompaiono. Si chiama dimenticare.”

NOTE CRITICHE
SENTIRE LA VOCE
di Nicola Galvan
Antonio Panzuto, scenografo e artista, è prima di tutto un creatore di luoghi. Questi hanno sempre la loro radice nell’esperienza del mondo reale, di cui costituiscono dunque una proiezione poetica. Tutti possiedono, almeno a livello percettivo, una profondità spaziale, ed esortano perciò l’occhio, in qualche caso il corpo, a inoltrarsi in essa per abitarli: un invito che, nel caso dell’installazione Qui da noi il tempo non c’è, oltre ai personaggi immaginati dall’autore è rivolto al pubblico. Panzuto, con la collaborazione drammaturgica di Alessandro Tognon, ha creato per lo spettatore un percorso di conoscenza e scoperta, ove muoversi, guardare e soprattutto ascoltare, poiché i protagonisti dell’azione scenica si manifestano, ad uno ad uno, solo attraverso la voce.
Lo spazio in cui ci troviamo ha una corrispondenza precisa: Laurito, il paese che ha accolto l’infanzia e la giovinezza dell’artista, contribuendo, con il suo paesaggio e le sue storie, a plasmarne la sensibilità: un luogo della memoria, dell’anima, dell’immaginazione. Attraverso un’analisi attenta, nonché una conversazione con l’autore, mi sono reso conto di come la sua trasfigurazione nasconda una fitta trama di riferimenti letterari, consapevoli o meno. Tra questi, vi è senz’altro Le onde di Virginia Woolf, che vede succedersi nelle sue pagine una serie di soliloqui i quali hanno come sfondo lo stesso scenario. Nel lavoro che presentiamo tutto accade idealmente nell’uliveto di Laurito, restituito nella forma di un bosco incantato: vi troviamo infatti un di gruppo di piccole case bianche che colonizzano, al modo in cui potrebbe farlo la fauna selvatica, alte sezioni longitudinali di fusto d’albero. Il risultato offre la suggestione di una Venezia privata dell’acqua, oppure di un villaggio di palafitte. La funzione di questi ‘alberi’ non è naturalmente sollevare le case dall’acqua, ma invece portarle ad avvicinarsi al cielo.
Non è difficile cogliere un richiamo all’infanzia nell’idea della casa sull’albero, un gioco tra i più affascinanti – e significativi, in quanto vi si afferma la necessità definire uno spazio interamente proprio – tra quelli che i bambini sperimentano nella loro crescita. La mia personale memoria letteraria corre a Il barone rampante di Italo Calvino, alla decisione del protagonista di vivere sugli alberi senza mai discenderne; decisione che rappresenta certo una ribellione verso la cerchia familiare, ma allo stesso tempo verso l’intera società degli uomini, al sistema di relazioni che li lega l’uno all’altro, ai compromessi ai quali devono accondiscendere. Il suo gesto, di carattere definitivo, è dunque un modo per osservare tutto questo dall’alto, prendendone coscienza. Questo aspetto è pertinente alla sfera dei significati a cui il lavoro di Panzuto intende dare forma.
L’anima del paese è rappresentata da coloro che lo hanno abitato in un tempo più e meno lontano, immaginati oltre il compiersi del loro cammino terreno. È questa condizione a consentire loro di essere portatori di uno sguardo altro sull’esistenza, precluso a chi è ancora coinvolto nel suo flusso. Essi trovano nelle piccole case, ove idealmente discende la loro essenza, una scatola magica, una mediazione tra il cielo e la terra – se si preferisce, tra lo spirito e la materia – tramite cui soddisfare il loro desiderio di raccontarsi e raccontarci; di rivivere in forma di leggenda.
«In questa casa non c’è nessuno. Sono tutti morti». È una delle battute più impressionanti del Pinocchio di Carlo Collodi, ed è una delle prime pronunciate dalla bambina, in seguito fata, dai capelli turchini, destinata a intervenire a più riprese, prima di tutto con le sue parole, nella vicenda del burattino incantato. La sua voce giunge dunque da un corpo che è già oltre il confine della vita, poiché, come lei stessa aggiunge, si trova in attesa della bara che la porti via.
Un romanzo di carattere sperimentale, uno dalla struttura più tradizionale, uno che usa tutti gli elementi della fiaba. Ho già citato tre libri, molto diversi tra loro; numerose citazioni sono presenti nei testi scritti dall’artista e Tognon. È ormai evidente come il libro, in Qui da noi il tempo non c’è, venga anch’esso interpretato come luogo dagli artefici della ‘scrittura di scena’, nella quale assume peraltro un chiaro valore poetico l’atto stesso di leggere. Le voci che ascoltiamo, casa per casa, albero per albero, non sono state invitate a recitare un testo, bensì appunto a leggerlo. Ad essere state coinvolte sono persone comuni, legate al paese che ha ispirato il lavoro. Nelle intenzioni degli autori non dovevano fino in fondo appropriarsi dalle parole, ma farsi abitare da queste così come la loro voce avrebbe abitato le case. Tale soluzione, invece di limitare l’espressività della scrittura, è giunta a renderla più vibrante e autentica, anche perché ‘riscaldata’ dalla cadenza della lingua locale, chiamata a rendere percepibile la connessione dei personaggi con la terra da cui è scaturita l’invenzione narrativa. Gli alberi, con il loro ergersi, appaiono perciò come colonne di testo oppure colonne sonore. Coloro che sentiamo parlare, invece di portare nel mondo dei morti il loro patrimonio personale di parole, si rivolgono agli ascoltatori usando lo stesso registro linguistico, poiché non essere più ha regalato loro una consapevolezza condivisa sulla vicenda umana che, naturalmente, corrisponde all’idea poetica sulla quale si regge l’intero lavoro. Se da una lato l’installazione è caratterizzata dalla verticalità degli elementi plastici, dall’altra prevede una orizzontalità del linguaggio: un aspetto che si riallaccia almeno idealmente con l’unità metrica e stilistica della Commedia dantesca, ove ogni spirito si racconta in endecasillabi e rime incatenate.
Attraverso un suo simulacro, l’ideatore di Qui da noi il tempo non c’è credo sia tangibilmente presente nell’installazione, rappresentato da una figura lignea antropomorfa, un misterioso osservatore che sta accanto a una panchina su cui si sta per sedere o dalla quale si è appena alzato. È l’unico ad appartenere, nella finzione drammaturgica, ai vivi; è colui che ci invita a entrare e a muoverci nel bosco incantato, al quale lui stesso ha dato vita. Ma è solo Antonio Panzuto ad esservi raffigurato? Credo questa presenza abbia una natura multipla, in cui a sovrapporsi sono la figura dell’artista, quella del padre, quella del padre di suo padre e così via; che la stessa cosa valga per i ‘ruoli’ che l’artista ha sinora interpretato nel corso della vita – un figlio, un fratello, un amico, un compagno, un padre – e analogamente per le diverse età che egli ha già attraversato. Se corretta, trovo che questa lettura sia la più coerente con un lavoro che parla del tempo e del succedersi delle generazioni, nonché sia suggerita dalle stratificazioni plastiche di cui la scultura è costituita.
Per poter sentire la voce di questo e degli altri personaggi è sufficiente inquadrare con lo smartphone il QR code che è riportato su ognuna delle stazioni del percorso, per il quale non è stato previsto alcun ordine di ascolto. Lo spettatore può cioè collegare liberamente tra loro i diversi monologhi, ognuno dotato di autonomia narrativa e allo stesso tempo riferibile alla stessa idea e atmosfera poetica; l’ascolto del medesimo racconto può inoltre essere ripetuto quante volte lo si desidera. Se dunque c’è una trama, ma non uno sviluppo narrativo, allora non possiamo che tornare a considerare il titolo di questa installazione, che indica una dimensione in cui il tempo, inteso come divenire, non esiste; in cui ogni parola vive in un’ipotesi di infinito, poiché diviene essa stessa tempo.
Siamo abituati, per tradizione culturale, a chiamare anima ciò che rappresenta l’essenza ultima della nostra persona, nonché quanto sopravvive alla fine della nostra vicenda terrena. Non so se l’anima esista; so però che esiste una facoltà chiamata immaginazione, che è alla sorgente della creazione di luoghi destinati a perdurare. Luoghi che hanno le loro radici nella terra, dai quali possono però essere innalzate case nel cielo.
Un progetto di Antonio Panzuto e Alessandro Tognon
Figure e sculture
Testi
Post-produzione audio
Collaborazione musicale
Collaborazione scenica
Presentazione
Organizzazione
Consulenza tecnica
Collaborazione voci
Collaborazione all’allestimento
Collaborazione organizzativa
Traduzioni in inglese
Voci di
Antonio Panzuto
Antonio Panzuto e Alessandro Tognon
Franz Fabiano
Stefano Merighi
Sofia Rampon
Nicola Galvan
Alessandra Lazzaro
Stefano Bassan
Francesco Botte e Domenico Mauro
Claudio Gamba, Guido Solerti e Giorgio Rossi
Associazione Culturale Fantalica
Carlotta Moro
Franco Botte, Angioletta Speranza, Concetta Tagliente, Carmela Juliano, Raffaele Romanelli, Raffaella Speranza, Sara Lisi, Monica Speranza, Gaia Romaniello, Luca Martorano, Rosario Donnangelo, Nicolina D’Agostino, Domenico Mauro, Filippino Tambasco, Francesco Romanelli, Giuseppina Donnangelo, Pierino Lia, Teodoro Laccertosa, Filippo Donnangelo, Raffaelina D’Agostino, Giuseppe Panzuto



































































