Haiku 2

HAIKU

Danza per figura in un campo


di 
Antonio Panzuto e Alessandro Tognon
scene e immagini video  Antonio Panzuto
regia  Alessandro Tognon
luci  Paolo Pollo Rodighiero
suoni  Stefano Merighi

 

Una figura in un dipinto con al centro un grande albero, è manovrata orizzontalmente e tirata a vista in un groviglio di fili che la spingono e trascinano facendola danzare sull’orizzonte.

Sul grande fondale un film fatto di segni, ombre, dissolvenze, disegnato a carboncino o pennellato con colori accesi che trasformano continuamente la scena.
In questa lenta metamorfosi del paesaggio assistiamo alla relazione silenziosa tra chi muove la marionetta e la figura, che sfiora il terreno con estrema leggerezza.
Lo spettacolo si ispira agli Haiku giapponesi, la più piccola forma di poesia esistente, scanditi in tre versi e diciassette sillabe. Non si vuole descrivere nulla ed ogni sequenza teatrale è trasformata in “fragile essenza di apparizione”.

Come gli Haiku questo lavoro ha un’attenzione specifica alle manifestazioni della natura e al suo dolce mutare: evoca un’immagine e ne segue la sua breve vita. Così mentre il video sottolinea i silenzi e le tensioni della marionetta, crea d’altra parte il contesto visivo dove la parola poetica può agire.

È forse una sfida alla costruzione drammaturgica per una disposizione invece più legata alla produzione pittorica.


DELL’HAIKU

L’haiku è come la punta di un iceberg, che cela un’altra massa, nascosta e impercettibile.
L’haiku non è qualcosa che si possa capire razionalmente: per coglierlo si deve entrare nella situazione descritta dal poeta, immedesimarsi in essa.
L’haiku si interessa alle cose naturali, prossime, apparentemente ordinarie e abituali. Vi compare ogni creatura vivente, nessuna esclusa al pari degli elementi inorganici come la pietra: ma anche la sottile presenza di eventi della persona, come la nascita, l’infanzia, la vecchiaia.
Nel mondo dell’haiku non esistono protagonisti, né comprimari.
Ogni cosa dev’essere inquadrata nella catena relazionale che la unisce alle altre.
Miracolo di sintesi di linguaggio e di carica espressiva l’haiku è rapido, folgorante, intenso, emozionante ma anche concreto, preciso, contingente.
La visione simbolista e crepuscolare di un haiku è carica di dissolvenze, di aloni, di allusività, di vaghezza e mancamento, di atmosfera indistinta, “quell’aria di scusarsi di esistere” come ebbe a dire Andrea Zanzotto.
In altri termini la concretezza della vita quotidiana si congiunge al senso del mistero e della profondità. L’espressività dell’haiku è lapidaria e si sposa col silenzio che segue e precede la lettura della composizione.
L’haiku non sintetizza una marea di impressioni, ma traduce “quel” momento e ” quella” impressione, nell’immediatezza dell’attimo.
Nell’haiku qualcosa avviene e basta.


DELLA MARIONETTA

La marionetta dà libertà.
La marionetta, disancorata dalle leggi fisiche della gravità, può eseguire meglio di chiunque gesti e passi alternativi.
Può avvicinarsi al suolo solo per sfioramento, senza bisogno di pause che interrompono il flusso della danza.
L’assenza di coscienza dota la marionetta di una grazia divina.
La possibilità della marionetta di eseguire movimenti interdetti al corpo umano, come le torsioni o i balzi inarrivabili, libera la somiglianza divina.
La semplicità della marionetta è intesa come tabula rasa e purificazione generale da ogni orpello eclettico di epoche e stili diversi.
La marionetta rinvia allo spettacolo non solo dell’infanzia, ma dell’infanzia dell’umanità e della storia, con la sua teatralità essenziale, con la sua capacità di tradurre simbolicamente fantasie e narrazioni e favole, prescindendo dal realismo, dal naturalismo, dalla verosimiglianza, dalla preoccupazione di una messa in scena legata a un testo o a una drammaturgia in senso lineare e conseguente.


APPUNTI PER LO SPETTATORE

E’ difficile parlare di uno spettacolo e decodificarlo perché come tutte le opere d’arte è per sua natura indescrivibile a parole. E’ difficile a priori avere la lucidità per spiegare e forse capire i meccanismi che attuano il passaggio dai primi pensieri o intuizioni alla realizzazione; o almeno questo non è un processo che io riesco a fare. Seguo il meccanismo di produzione teatrale legato più al mio istinto, come venisse fuori da un sogno, da un lato oscuro di me che voglio non decifrare ma mettere sul piatto e stenderlo e che mi piace così perché un po’ misterioso. Ogni mio spettacolo non è in realtà separabile da quello precedente : è una tappa, una stagione della mia vita, del mio modo di stare al mondo, per cui cambia il titolo, la sceneggiatura ma la storia è la stessa.

Anche la mia collaborazione con il regista di tutti i miei lavori, Alessandro Tognon, è in questo caso così stretta che si procede per intuizioni e nei nostri incontri a volte non parliamo nemmeno dello spettacolo ma di altro, della nostra vita, dei nostri pensieri, di nostre riflessioni, insomma di tutt’altro ma è da quel tutt’altro che vengono le idee migliori, che si chiarificano le prime tracce di un nostro lavoro teatrale.

Ed è così anche quando lavoro con i materiali, gli oggetti, i colori, i legni, i chiodi ed è così che produco le mie sculture, assemblaggi forse di pensieri e trame di discorsi.

Infatti per realizzare Haiku i primi pensieri sono nati dopo aver realizzato alcune sculture con rottami e relitti di ferro, raccolti dappertutto, dalle forme ispirate a posizioni di danza e di movimento.

Io e il regista volevamo costruire uno spettacolo di danza per figure o sculture che avessero la capacità di trasformarsi in scena creando una continua metamorfosi.

Metamorfosi era infatti uno dei titoli possibili.

Solo una marionetta poteva avere questa libertà e autonomia di movimento e per lasciare ancora di più spazio a possibili suggestioni ho deciso di non dare nessuna possibilità illustrativa , creando una figura senza testa, senza espressione definita.

L’espressione sarebbe venuta con il movimento per aumentare in questo modo la possibilità visionaria della marionetta.

E’ stato allora e solo allora che ci siamo avvicinati ad una possibile sceneggiatura, avendo la necessità di incrociare questi primi pensieri a forme poetiche capaci di creare suggestioni ai movimenti della figura.

L’Haiku, caratterizzato dalla sua brevità è diventato così come una pittura, messaggero di un’emozione che permette di vedere oltre le immagini suggerite e descritte.

Ed è così che partendo da appunti immaginari, forse da alcune parole, alla fine i conti sono tornati ed è lì che ho visto realizzati alcuni pensieri che mi hanno arrovellato la mente per mesi.

Per la scena invece, il luogo dove avrebbe dovuto muoversi la marionetta è sempre stato chiaro: un paesaggio, ricordo di alcuni paesaggi che io sempre dipingo, un campo con degli alberi a suggerire le diverse impressioni e lo scandire temporale dei vari testi poetici; sono gli stessi Haiku ad avere sempre un costante riferimento alla natura.

Lo spettacolo che ci è nato così tra le mani è più che altro la messa in scena di questo spazio poetico.

E il video, che è uno strumento che uso da alcuni anni come supporto alle scenografie, in questo caso più che mai, è diventato un supporto indispensabile per creare effetti pittorici continui, riuscendo a mantenere il clima di suggestione e di sogno a tutto lo spettacolo. Ho potuto pensare così al paesaggio come continuo spazio mutevole di ispirazione, con sequenze di colori capaci di determinare spunti emotivi ed espressivi.

L’immagine che muta alle spalle mie e della figura, non è altro che un cielo di nuvole mosse dal vento che a guardarle suggeriscono ininterrotti pensieri e immagini, permettendo alle nostre idee di volare con loro.

Cogliere la lentezza poetica di Haiku vuole essere un suggerimento ad uno sguardo più semplice verso il mondo.

Antonio Panzuto


FOTO DI SCENA